Personaggi… creature incredibili…!

racconti di pioggiamarea, da leggere, da scaricare free, da stampare
storie medievali e contemporanee

Il segreto del pittore di anime.

 racconto  di  A.R.D.

 copyright 05/’10 – pubblicato in rete 08/’10 in un sito di racconti –
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    Quegli occhi… vedono! E… respira…
     – Di più. Pensa.
     – Una pittura… come dire? Da principiante. Eppure le figure di questo artista hanno qualcosa di sovrannaturale. Sono vive, ecco.
     – Anche i critici, pur stracciandolo sotto il profilo pittorico, ne hanno riconosciuto l’eccezionalità. Questi quadri sono meraviglie…!
     La sala modesta, per modeste esposizioni, imprevedutamente accoglieva in quei giorni un pubblico esigente e raffinato, richiamato dalla stupefatta eco destata dalle opere in mostra; e per la prima volta il suo pavimento ordinario era stato calpestato dalle elette suole dei critici d’arte.
     Quel pittore sconosciuto, spuntato come un fungo, che non era nemmeno un pittore, che in tutta la sua vita aveva dipinto sì e no una quindicina di paesaggi banalissimi per amici e parenti, s’era messo in vecchiaia a dipingere figure umane: non ritratti, personaggi di fantasia; in costumi storici pure questi di fantasia, impossibili da collocare nel tempo, fra gli ingenui anacronismi.
     E quelle figure erano vive. Se ne percepiva l’interiorità, e la passione, e il carattere, il pensiero, i ricordi… l’anima!

     Un simile risultato nessuno riusciva a spiegarselo. Le membra dalle proporzioni bizzarre, i rilievi anatomici del tutto stravaganti, i volti privi di accorgimenti d’espressione, le ombre dalle traiettorie improbabili, i punti di luce distribuiti a piacimento, le prospettive lunatiche, la disposizione degli spazi sbilanciata, i colori dati così come usciti dai tubetti, il panneggio elementare, le carnagioni come le avrebbe rese un bambino… Eppure, su quelle tele, in quelle cornici, c’erano persone.
     E pareva, guardandole, che narrassero le proprie storie: nessuno avrebbe saputo poi riferire quali storie, ma ognuno dentro di sé era certo di averle sentite e ne conservava l’impressione.
     – Come ottiene tali effetti nella più totale assenza di strategie pittoriche?
     – Davvero non lo so. E’ un mistero. E darei non so cosa per… Che accade? Perché applaudono? Oh ma… deve essere giunto il pittore…
     – Eccolo, è lui. Guarda! Ci sono telecamere… giornalisti…
     – Povero vecchio… sembra disorientato… smarrito…
     La gente gli si stringe attorno, e le domande si sovrappongono, ma non sono tutte che un’unica domanda:
     – Maestro… ma come fa?
     Il pittore è frastornato, comunque sorride di un sorriso gentile. Nel silenzio sopravvenuto, denso dell’attesa della sua risposta, risponde a voce bassa:
     – Quando dipingo i miei personaggi… io ci metto il cuore… e ci metto l’anima. Tutto qui.
     – E si sente, maestro. Davvero lei dipinge col cuore e con l’anima!
     – Non intendevo questo… Volevo dire… Non importa.
     Nella folla c’è un giovane che se ne sta muto e livido; e rigido… tanto è forte la vibrazione che gli percorre il corpo. Il pittore ne è richiamato dagli occhi come di pazzo: occhi nei quali vede la volontà, anzi il bisogno, di uccidere.
     E nei quali vede di essere l’oggetto di quel tumulto omicida.
     Gli si accosta:
     – Vieni a trovarmi… anche stasera stessa…
     Si volge al proprio accompagnatore a dire piano:
     – Scrivigli l’indirizzo…

 

 

    Nonno, c’è un’altra visita…
     – Basta, piccola… basta… sono stanco… Voglio andare a coricarmi.
     – Ha detto che tu gli hai detto di venire…
     – Ah… ho capito. Di’ alla mamma di farlo entrare.
     Si siede in una delle poltroncine di vimini dell’ampio soggiorno:
     – Entra… chiudi la porta… vieni… siedi… siedi qui vicino a me. Son contento che tu sia venuto… Raccontami qualcosa di te… chi sei…
     Il giovane tiene le labbra serrate strettamente, così frenando l’orda di parole che spinge da dentro.
     – Che ti accade ragazzo? Cosa ti tormenta? Parla…
     Gli occhi del giovane percorrono febbrili la stanza: ripudiano la busta del supermercato che ancora avvolge una tela nuova, sul cavalletto; si spostano al tavolino a lato, dove contano cinque pennelli in un vasetto e patiscono sul kit dei colori ad olio per dilettanti; ripiegano tristi a fissarsi sulla lattina dell’acquaragia:
     – Io… sto male… sto male…
     Il pittore gli guarda le mani e, pur senza toccarle, sente che sono fredde e madide.
     L’altro, come avesse avvertito quella percezione, le stringe a pugno e ficca i pugni nelle tasche della giacchetta dalle maniche ormai corte ai polsi; lo sguardo sempre fisso:
     – Io vi odio… e vorrei uccidervi. Mi vergogno di me… sto morendo di invidia.
     Ritrae gli occhi dall’acquaragia, li punta in faccia al pittore:
     – Vi odio… e soffro. Non sono nel giusto, lo so, ma non capisco perché voi abbiate ricevuto tanto riconoscimento… tutto questo successo… Voi non siete pittore. E avete venduto tutti i vostri quadri… i vostri quadri… Che sono brutti! Sbagliati! Malfatti! Ah lo so, lo so, sono sublimi, me ne sono accorto… Voi ci mettete il cuore e l’anima… E io allora? Io no? Anch’io ci metto il cuore e l’anima! Ho passato notti intere a dipingere preso da passione… Ho sopportato la stanchezza, la fame, tutto… Ho dipinto centinaia di tele! Che non ho preso al supermercato. E ho studiato…! E non mi sono mai risparmiato… E i miei quadri sono perfetti! Capite? Perfetti! Ma le mie figure sono piatte! Piatte! Piatte!
     Si alza e cammina concitato per la stanza; e le scarpe sciupate, dai tacchi consumati, nulla tolgono all’impeto dei suoi passi esuberanti:
     – E tacciono! Perché? Perché tacciono? Eppure anch’io dipingo col cuore e con l’anima! Anch’io! Ma loro non hanno anima! Non l’hanno! Perché? E devo vedere che l’hanno invece le figure sbilenche e sciancate che voi accozzate coi vostri orrendi colori pasticciati sulle vostre stuoie…! Come vorrei uccidervi…! Sono malvagio e non lo sapevo… Non sapevo di essere capace di tanta rabbia… di invidia… di odio… Io non mi conoscevo… Vi odio anche per questo… perché mi avete fatto diventare cattivo! E penso che… voi siete un vecchio ormai…! A che vi serve la fama? E avevate già tutto! Casa… famiglia… Io non ho niente! Niente! E sono giovane… E sono pittore davvero… non come voi che non lo siete! Non lo siete! Non lo siete!! E non è giusto! Non è giusto!!
     – Sì, hai ragione… Non è giusto…
     – Lo capite che mi avete rubato la pace?
     Torna a sedersi vicino al vecchio e scoppia a piangere:
     – Non ce la faccio… Non sopporto tutto questo… Sto male… Io non voglio essere così… Non voglio essere così! Io ho paura di me stesso… Salvatemi… Salvatemi…!
     – Sì… sì… aspetta… Una cosa alla volta.
     E facendo leva sui braccioli il vecchio si alza, apre un cassettino, prende un pacchetto di fazzoletti:
     – Su… soffiati il naso.
     Camminando piano e un po’ curvo, raggiunge la porta che dà nella cucina; l’apre ad affacciarsi:
     – Puoi preparare una tazza di latte ben caldo? Con molto zucchero e tanto cacao. Me lo fai portare dalla bambina.
     Ritorna alla sua poltroncina:
     – Ora ragioniamo un poco. Finire in galera per far morire un vecchio che morirà comunque… mhm… lascia stare. Vediamo invece cosa posso fare per aiutarti.
     – Non lo so… Non potete aiutarmi… Nessuno mi può aiu… Sì… Forse invece voi potete…
     E la bocca del giovane si serra di nuovo, non osando ancora chiedere ciò che gli occhi imperiosi già osano.
     – Chiedi pure… Se è cosa che posso, la farò.
     – Il vostro segreto. Ditemi il vostro segreto… Voi avete di certo un segreto. Deve esserci! Ditemelo… ve ne prego… Oh, perdonatemi… Ogni pittore ha i suoi segreti e… non si deve chiedere. Perdonatemi… ma ditemelo! Io ho imparato tanto… ma non so come si fa a dipingere l’anima. Siete maestro? Insegnatemi!
     Il vecchio annuisce:
     – Dici cose molto sensate. Eh…! Ai pittori piace essere chiamati maestri, e tanti da sé stessi si definiscono tali, ma… non è maestro chi tiene per sé il proprio sapere. Sarebbe meglio se si ricorresse a un appellativo diverso. Ora calmati, te lo dirò… Ti dirò il mio segreto. Lo farò molto volentieri. Non voglio morire senza averlo trasmesso. Così meriterò almeno in parte il titolo che da un po’ di giorni mi è piovuto addosso. E ti renderò la pace che ti ho tolto.
     – Davvero…? Davvero… mi fareste vedere come fate…?
     – Basterà che te lo spieghi. In verità mi vergogno un poco a parlarne… E’ una cosa così… infantile…
     Si sente aprirsi la porta della cucina: la bambina entra e si avvicina con passi attenti, tenendo con ambe le mani un piattino con la tazza di latte.
     – Grazie, cara. Vai… e richiudi la porta. E’ brava quella piccina… Ecco, bevi questo… ti farà bene. Ssst… Lo devi bere.
     Attende fino a che il giovane non posa la tazza svuotata sul mobiletto accanto.
     – E dunque ascolta. Vedi… dopo che ho abbozzato la figura, io ci metto il cuore… capiscimi bene… ce lo dipingo… ci dipingo il cuore. Per darle la vita. Per darle la vita, sì… Lo faccio con poco colore, ben diluito con la trementina, così che non possa poi trasparire. E infatti quando dopo dipingo il vestito sopra… non si vede nulla. Ma il risultato è che quella figura è viva…!
     – Mi… mi state prendendo in giro…?
     – No figliolo, ti sto dicendo la verità. Io stesso ne restai sorpreso… non ne avevo certo previsto l’effetto… Voglio dire… Quando per la prima volta pensai di dipingere una figura umana, l’abbozzai e poi… così…! Mi venne l’impulso di metterci il cuore. Mi sembrò una cosa sciocca, da vecchio rimbambito, o diciamo rimbambinito, tanto per restituire al termine il suo senso originario. Ma per quanto sciocca… sentii che ormai avevo pensato di farla, questa cosa, e sentii che se non l’avessi fatta sarei poi rimasto col rimorso di aver privato quel personaggio del suo cuore. Si è responsabili delle proprie creature…! E allora… sai… aspettai che nessuno mi vedesse… dipinsi il cuore di nascosto… di nascosto come un bambino… e fui contento di averlo fatto. E ho continuato a farlo. I miei personaggi hanno tutti ciascuno il proprio cuore.
     – Non… riesco a… credere… che questa cosa possa…
     – Ah ma… bada che la vita non basta. Bisogna metterci anche l’anima. Questo pensai, che ci volesse pure l’anima. Ma neanch’io so come si fa a dipingerla… e credo proprio che non si possa. Come fare allora? Provai a soffiarci, sul cuore dipinto… e mi sentii peccatore e smanioso di onnipotenza. E quel soffio poi… uscito dalla mia dentiera… Lasciai stare i soffi. Però pensai: Dio volle che ogni creatura avesse un nome… e ne affidò ad Adamo il compito! Dunque questo potevo farlo anch’io. Il nome è importante… Col nome diamo riconoscimento all’esistenza degli altri. E quando di qualcuno pronunciamo il nome, non ce ne accorgiamo, ma in quel momento, in quell’unica sola parola, diciamo la storia di quel qualcuno, e chi è, e come è, e come e cosa è per noi. Non… sei d’accordo?
    
– Sì… Sì, certo… E allora?
     – E allora ecco: fatto il cuore, io sopra ci scrivo il nome che ho scelto per la mia creatura… ce lo dipingo col pennellino sottile. E a questo punto… accade il miracolo: quel personaggio diviene indipendente da me, con una volontà propria. Io non decido quasi più nulla. Capisci? La mia mano smette di obbedirmi, e dipinge guidata dal personaggio stesso, così come vuole e ciò che vuole. Pensa… c’era del blu rimasto… avevo premuto troppo il tubetto… e avrei voluto usarlo per la veste della castellana pattinatrice… l’hai presente? Ma lei la volle rossa!
     – Lei la volle rossa… –  ripete lentamente il giovane.
     – Un tipo capriccioso. Me ne ha dati di problemi…! Sui suoi pattini a rotelle i critici hanno storto i nasi… e per colpa sua! Passò in questa stanza la mia nipotina, coi pattini… e la castellana ne fu presa dalla voglia. Bisogna capirla… ai suoi tempi non esistevano. Il quadro era ormai quasi terminato… ma niente da fare: dovetti accontentarla e modificare anche se non avevo più lo spazio sufficiente. Ed è venuta un po’ corta di gambe… un po’ corta di gambe, sì… Io l’avevo fatta seduta!
     – Eh ma… quando si vede qualcuno andare sui pattini… davvero si è subito presi dalla voglia di… –  si riscuote e si alza in piedi  – Non so, non so… Sono confuso… Non so che pensare di voi… di quanto mi avete detto… E’ tutto così incredibile…!
     Anche il vecchio si alza:
     – Eppure è invece semplice come l’acqua. O almeno… incredibile non più dell’acqua. I miei personaggi hanno tutti il cuore, nascosto sotto i panni, e quindi sono vivi… E ognuno di loro ha il proprio nome dentro, e dunque ha i propri pensieri, e sentimenti, e desideri, e la propria volontà, la propria storia… Ha l’anima!
     – Io… non so… Possibile che basti dipingere un cuore e un nome?!
     – A me è bastato. E vedrai che il tuo successo soppianterà il mio: tu potrai aggiungere la perfezione pittorica che a me manca. E… i tuoi personaggi aggiungeranno l’imperfezione che a te manca.
     – L’imperfezione… Sì, credo abbiate ragione… Forse devo imparare ad essere pittore anche imperfetto…
     – Ma no, non devi. O saresti capace di rendere perfetta pure l’imperfezione. No… lascia fare a loro. Così come Dio lascia fare a noi.
     – Comunque, io non voglio… soppiantare… Ma se davvero ciò accadesse, a voi… non dispiacerà…?
     – Ne sarò contento. La folla… i critici… i giornalisti… non son cose per me oramai. Io sono vecchio, non ho che poco tempo davanti… e non ho tanta forza per dipingere… mi ci stanco. Continuerai tu anche per me. Tu che davvero sei pittore. E’ giusto così. E ritroverai la tua pace.

 

 

    La porta del soggiorno si spalanca di colpo:
     – Non funziona!!
     Il giovane entrato con irruenza butta contro una parete una grande tela, ne strappa la carta di imballaggio:
     – Ho fatto come avete detto… e che ho ottenuto? Non ho mai dipinto una figura più muta di questa! Ho anche atteso per giorni e giorni che accadesse qualcosa… Ma niente! Niente! Non funziona!
     – Calmati… Fammi vedere… Ma che splendore…! Che pittura incantevole… Che stile originale… Un talento raro…! Sei artista davvero. Mhm… effettivamente però… c’è uno strano silenzio… Non comprendo…
     – Comprendo io. Siete fuori di testa e quale sia il vostro segreto non lo sapete nemmeno voi. Oppure mi avete raccontato bubbole per non dirmelo… Ah, ora non mi sento mica tanto malvagio… il vostro scherzo è stato più malvagio della mia invidia. Io vi ho parlato con sincerità, mi sono confessato a voi, in tutta la mia vergogna… e voi forse vi siete fatto beffe di me…
     – No, no figliolo, ti prego, credimi… Se tu ti calmi, possiamo cercare di capire perché…
     – Cosa c’è da capire? –  l’interrompe l’altro furioso  – Io ho fatto tutto così come mi avete detto. Cretino che sono…! Rimbambinito appresso a voi…
     – Senti, io vorrei accertare. La pittura è ancora abbastanza fresca… Posso toglierne un po’ per guardare al di sotto…? Però il quadro forse resterà rovinato… Forse non si riuscirà poi a ripararlo senza che ne resti traccia…
     – Forse…?! E’ ovvio che ne resti traccia! Ma che mi importa… Non importa a nessuno se un mio quadro si rovina…
     – Smetti di compiangerti… e aiutami piuttosto: libera il cavalletto e sistemaci la tua tela. Io intanto… Dove ho lasciato gli occhiali? Eccoli…
     Quindi prende da un cassetto una pezzuola, la bagna di diluente e si dà a strofinare con attenzione sul petto della figura, asportandone pian piano il colore dell’abito.
     – Ci siamo… Comincio a intravedere il cuore… e mi pare che tu le abbia fatto proprio un bel cuore. Questa ragazza è viva… sì.
     Il giovane, con un vago gesto della mano, li manda al diavolo entrambi, e se ne va a borbottare contro un vetro della grande finestra.
     Il vecchio bagna un angolo pulito della pezzuola:
     – Ora vediamo se riusciamo a capire perché tace.
     E riprende a strofinare, delicatamente, fino a poter leggere il nome.
     – Benedetto ragazzo… che hai combinato?
     – Cosa… Che?
     – Tu qui ci hai messo il tuo stesso nome!
     Inebetito l’altro si avvicina:
     – Non… non me ne sono accorto…
     – Forse… intendevi rappresentare te stesso… in costei?
     – No… No, non sono io. Credo di avere sbagliato per l’abitudine a firmare…
     – E allora capisci? Questa poverina è viva ma… non sa chi sia… o chi essere.
     Il capo chino e gli occhi chiusi, il giovane annuisce più volte.
     – La creazione è… un dono –  gli dice il vecchio  – Tu non hai donato! Non abbastanza! Non ti sei fatto da parte, ecco.
     L’altro gli prende lo straccino e si adopra a cancellare la firma da quel cuore; a ogni poco passandosi sugli occhi le dita della sinistra, per toglier via le lacrime di dolorosa mortificazione.
     – Non avvilirti… Sei giovane… hai tutto il tempo per imparare a scansarti dal centro del mondo. Ora riprendi la tua tela e va’ a casa. Mettici il nome che hai dato a questa ragazza, e poi risistemale l’abito. Non fa nulla se si vedrà la riparazione… Anzi, quando questa tua creatura narrerà la propria storia, racconterà anche della rinuncia che hai fatto per amor suo; e mostrerà, a testimonianza, il suo vestito… rammendato.

 

FINE

A.R.D., marzo 2010

 

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Delitto perfetto… Divorzio all’italiana…

Delitto all’italiana
di A.R.D.

dedicato alle vittime della strada
vittime delle politiche legislative lassiste

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     Pronto… Ai tuoi ordini amore! Ma subito! Sono già di strada. Tu comincia a scendere, io saluto gli amici e volo. Si, sono al bar… Ci vediamo al cancello fra dieci minuti… Ma sì, non più di dieci minuti… a quest’ora…! Bacio.
     – Te ne vai?
     – Sì… devo andare all’ospedale. Mia moglie ha finito il turno. E vado che non voglio farla attendere là da sola… è notte ormai. A domani allora… Ci si vede!
     – Aspetta… ce la fai? Hai bevuto senza farci complimenti…
     – Ehi! Con chi credi di parlare? Ok ragazzi, io scappo.
     “Dove ho messo la macchina? Ah… eccola… Ho bevuto, ho bevuto. Mica la vedevo…! Bene bene… Dieci minuti, solo dieci minuti… Via! Si parte! Dieci minuti ancora e finalmente… Acc… la Polizia… piano… Il test lo facciamo fra mezz’ora, non adesso! Meglio se tardo qualche secondo… più sicuro di trovarla fuori del cancello.
     “Allo svolto lampeggio, lei lascia il cancello e raggiunge il bordo del marciapiede… Signor Giudice, mi sono fermato per farla salire ma… è volata…! Forse mi sono fermato tardi… forse ho perso il controllo… ho preso il marciapiede… Signor Giudice, non ne ho colpa! Ero ubriaco!
     “Ehi…! Me li leveranno mica tutti i punti? Che nnnoia…!
     “Pazienza… Me li ridaranno.
     “Amici e parenti tutti ansiosi di testimoniare quanto amassi mia moglie… Ah, i vicini poi… mi par di sentirli… ‘mai un litigio!’…
     “Divorzio… ts! La casa me la tengo io.
     “Certo che in Italia… ormai… Hitchcock è proprio superfluo. Non c’è nessun bisogno di far piani complicati e badare ai dettagli: il delitto perfetto è servito su un piatto d’argento.
     “Signor Giudice, io chiedo scusa bla bla bla… non berrò più bla bla… sono pentito bla.
     “Altro che divorzio all’italiana… eh eh…! Caro il mio Pietro Germi… col delitto d’onore qualche anno ti toccava, ma se stai bevuto… è tutto gratis!!!
     “Ci siamo. Eccola là. Sempre puntualissima.
     “Un bel lampeggio… e ora… cominciamo a sbandare…”

 

FINE


A.R.D. , maggio 2009

 

Citazioni:    Alfred Hitchcock  “Delitto perfetto” del 1954  
                
Pietro Germi  “Divorzio all’italiana” del 1962

 

 

racconti di pioggiamarea.JPG

 immagine: olio su tela a spatola, di A.R.D. – particolare –

vittime della propria legittima difesa

racconti di pioggiamarea.myblog.it disegno di a.r.d.JPG
“Esercitazioni – Dedicato alle vittime della propria legittima difesa”

racconto di A.R.D.  
(copyright 2008 tutti i diritti riservati – pubblicato in rete da maggio 2008)

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Il racconto è in chiave caricaturale, così come lo sono le politiche legislative che proteggono i diritti dei rei più di quelli delle loro vittime. Ma è solo… percezione.

     Seduto sul letto, in pigiama, Peppino scarica la pistola.
     Mariuccia sposta il cavalletto carico del mucchio dei panni da stirare:
     – Meglio che lo scanso. Se poi non mi ricordo che sta qua… ci urto. Vado a prepararmi.
     Ciabattando esce dalla camera.
     Peppino, con movimenti cauti per via della sciatica, si cava i pedalini e si sistema sotto le coltri:
     “Speriamo che stavolta si conci meglio… La riconosco sempre subito…!”
     Dal salotto si spandono in tutto l’appartamento, uno dopo l’altro, i dodici rintocchi della pendola e la notte lentamente si avvia a farsi più fonda.
     E poi c’è il solitario rintocco dell’una. Sotto il neon, in cucina, Mariuccia drizza di scatto il capo andato giù nel sonno.
     Sbadiglia. Si alza. Esce nel corridoio e vi accende la luce.
     Si ferma davanti allo specchio a figura intera: pagnottelle sui fianchi e pancia… tali e quali, pur sotto l’ampio maglione nero e i calzoni neri. Sospira. Si toglie di tasca il collant e ne calza una gamba sulla testa. Vi infila una mano a scansare i capelli dalla faccia. Aggiusta per bene sulla spalla la gamba del collant vuota.

     Rientra in cucina. Prende la spadina di Zorro di suo nipote e il tegamino, preparati sul tavolo. Di nuovo sulla soglia, vi lascia le ciabatte, spegne la luce del corridoio e a piedi nudi lo percorre silenziosa, fino alla camera da letto.
     Peppino sta russando. Mariuccia si accosta al letto, al suo fianco. Alza le braccia: in una mano il tegamino e nell’altra la spadina. Lascia cadere il tegamino. Sul pavimento.
     Peppino spalanca gli occhi e, nello scarso chiarore che arriva dalla cucina, distingue la nera figura brandente la lama. Estrae dalle coltri il braccio destro e le punta la pistola contro:
     – Ti avviso che sono armato.
     – Dove sono i soldi? –  domanda Mariuccia facendo la voce grossa.
     – Ti avviso per la seconda volta che sono armato.
     – I soldi o ti ammazzo –  insiste la moglie agitando la spadina di Zorro.
     – Ci sono centosettanta euro nel… Basta –  tira fuori le gambe, infila le pantofole posando la pistola sul comodino, si alza ed esce dalla camera.
     Mariuccia sfila il collant, si china a raccogliere il tegamino e lo segue in cucina, fermandosi sulla soglia a infilare le ciabatte.
     Seduto al tavolo, Peppino allunga la mano a prendere il bricco e vi guarda dentro: un avanzo di caffè… c’è. Lo beve e accende una sigaretta.
     Mariuccia poggia la spadina di Zorro e il tegamino sul tavolo; siede a sua volta:
     – Be’, però… ti sei controllato bene. Non hai sparato!
     – Non ho sparato perché ti ho riconosciuta subito anche stavolta.
     – Mi riconosci perché già lo sai e non ti spaventi. Devo farti paura quando non te l’aspetti.
     – Dovrei allora tenere sempre la pistola scarica… E se intanto vengono i ladri?
     – E… allora?
     – E allora non lo so… –  sospira Peppino  – Se non sono armato e arrivano i ladri… ci possono ammazzare. E se sparo al momento sbagliato… Vedi quanti anni di galera si deve fare quello dell’ultimo piano…!
     – I suoi ladri però… veramente bravi… –  considera Mariuccia annuendo con la bocca in giù  – Lo hanno voluto mettere nella paura e nella paura lo hanno messo.
     Anche la bocca di Peppino si piega in giù nel riconoscimento:
     – Mica son ladri da niente…! Sanno come fare per spaventarti a morte.
     – Lui ha avuto paura che lo torturassero come quelli del quarto piano.
     – No, Mariu’… Ha avuto paura che lo ammazzassero come quelli del secondo piano. E non ha capito più niente. Tanto era spaventato che non ha riflettuto che ormai stavano andando via. Ha preso la pistola e ha sparato. Ma non si deve far così. Tu sei la vittima… Tu puoi sparare solo dopo esserti accertato che stai proprio per essere ammazzato e solo nel momento quando stai proprio per essere ammazzato. Se no non vale. Che ci sei stato messo di proposito, in condizione di non poter ragionare, non conta. Lui ha fatto la brutta figura di avere sparato per le cose che gli stavano portando via.
     – Eh…! –  sospira Mariuccia  – Un conto è uccidere per prendersi le cose di un altro, e un conto è uccidere per non far prendere le proprie cose. E’ diverso.
     Peppino lentamente scuote la testa:
     – Mica sei un delinquente che se uccide si capisce che non è colpa sua ma… del coso… come si chiama? Ah! Il sistema.
     – A proposito… Dopodomani è un anno che hanno ammazzato quelli del primo piano. C’è la Messa. Non ricordo… Quanto si fecero i loro ladri?
     Peppino con le dita pulisce il tavolo di un po’ di cenere caduta dalla sigaretta, mandandola a cadere sul pavimento:
     – Rischiavano di farsi cinque mesi in carcere e un anno a casa… Ma spiegarono di avere ammazzato solo perché spaventati dalla signora che svegliandosi aveva urlato, e così si sono fatti un mese e mezzo. A casa. Ne hanno profittato per dare un’imbiancata.
     – Un mese e mezzo… Mmh… Mezzo mese a morto.
     – No. Un mese per il marito e mezzo per la moglie.
     – E per il papà di lui niente? –  stupisce Mariuccia.
     – Aveva un tumore… ricordi? Sarebbe morto comunque.
     – Ah… ecco.
     Peppino spegne il mozzicone nel posacenere e si alza:
     – Eppure devo farcela a mettermi paura! Devo imparare a riuscire a ragionare anche mentre sono spaventato a morte. Se no… che gli dico al giudice? Che non ero capace di intendere e di volere in quel momento? Io sono la vittima… per me non vale questo.
     – Le ho provate tutte. Non so come fare per spaventarti. Tu mi riconosci sempre.
     – Ma che ci posso fare…! –  allarga le braccia Peppino  – Forse non va bene il tegamino.
     Tornati in camera, Mariuccia si toglie i panni di scena mentre l’uomo rimette i colpi nella pistola.
     Si coricano. Gli occhi aperti nel buio. Il silenzio è interrotto da un tonfo.
     – Cos’è stato? –  si risolleva Peppino.
     – E’ sopra. Hanno cominciato a fare esercitazione pure loro.
     – Cosa usano?
     – Il vocabolario. Tanto il figlio è morto e non gli serve più –  alza le spalle la donna.
     – Non sono stati dei ladri però… Mi pare che fu messo sotto da un poveraccio ubriaco… o drogato… eh?
     – Macché! Lo ammazzarono i compagni, a scuola. Ragazzate.

FINE
                                                                              
gennaio 2008, A.R.D.

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