vittime della propria legittima difesa

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“Esercitazioni – Dedicato alle vittime della propria legittima difesa”

racconto di A.R.D.  
(copyright 2008 tutti i diritti riservati – pubblicato in rete da maggio 2008)

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Il racconto è in chiave caricaturale, così come lo sono le politiche legislative che proteggono i diritti dei rei più di quelli delle loro vittime. Ma è solo… percezione.

     Seduto sul letto, in pigiama, Peppino scarica la pistola.
     Mariuccia sposta il cavalletto carico del mucchio dei panni da stirare:
     – Meglio che lo scanso. Se poi non mi ricordo che sta qua… ci urto. Vado a prepararmi.
     Ciabattando esce dalla camera.
     Peppino, con movimenti cauti per via della sciatica, si cava i pedalini e si sistema sotto le coltri:
     “Speriamo che stavolta si conci meglio… La riconosco sempre subito…!”
     Dal salotto si spandono in tutto l’appartamento, uno dopo l’altro, i dodici rintocchi della pendola e la notte lentamente si avvia a farsi più fonda.
     E poi c’è il solitario rintocco dell’una. Sotto il neon, in cucina, Mariuccia drizza di scatto il capo andato giù nel sonno.
     Sbadiglia. Si alza. Esce nel corridoio e vi accende la luce.
     Si ferma davanti allo specchio a figura intera: pagnottelle sui fianchi e pancia… tali e quali, pur sotto l’ampio maglione nero e i calzoni neri. Sospira. Si toglie di tasca il collant e ne calza una gamba sulla testa. Vi infila una mano a scansare i capelli dalla faccia. Aggiusta per bene sulla spalla la gamba del collant vuota.

     Rientra in cucina. Prende la spadina di Zorro di suo nipote e il tegamino, preparati sul tavolo. Di nuovo sulla soglia, vi lascia le ciabatte, spegne la luce del corridoio e a piedi nudi lo percorre silenziosa, fino alla camera da letto.
     Peppino sta russando. Mariuccia si accosta al letto, al suo fianco. Alza le braccia: in una mano il tegamino e nell’altra la spadina. Lascia cadere il tegamino. Sul pavimento.
     Peppino spalanca gli occhi e, nello scarso chiarore che arriva dalla cucina, distingue la nera figura brandente la lama. Estrae dalle coltri il braccio destro e le punta la pistola contro:
     – Ti avviso che sono armato.
     – Dove sono i soldi? –  domanda Mariuccia facendo la voce grossa.
     – Ti avviso per la seconda volta che sono armato.
     – I soldi o ti ammazzo –  insiste la moglie agitando la spadina di Zorro.
     – Ci sono centosettanta euro nel… Basta –  tira fuori le gambe, infila le pantofole posando la pistola sul comodino, si alza ed esce dalla camera.
     Mariuccia sfila il collant, si china a raccogliere il tegamino e lo segue in cucina, fermandosi sulla soglia a infilare le ciabatte.
     Seduto al tavolo, Peppino allunga la mano a prendere il bricco e vi guarda dentro: un avanzo di caffè… c’è. Lo beve e accende una sigaretta.
     Mariuccia poggia la spadina di Zorro e il tegamino sul tavolo; siede a sua volta:
     – Be’, però… ti sei controllato bene. Non hai sparato!
     – Non ho sparato perché ti ho riconosciuta subito anche stavolta.
     – Mi riconosci perché già lo sai e non ti spaventi. Devo farti paura quando non te l’aspetti.
     – Dovrei allora tenere sempre la pistola scarica… E se intanto vengono i ladri?
     – E… allora?
     – E allora non lo so… –  sospira Peppino  – Se non sono armato e arrivano i ladri… ci possono ammazzare. E se sparo al momento sbagliato… Vedi quanti anni di galera si deve fare quello dell’ultimo piano…!
     – I suoi ladri però… veramente bravi… –  considera Mariuccia annuendo con la bocca in giù  – Lo hanno voluto mettere nella paura e nella paura lo hanno messo.
     Anche la bocca di Peppino si piega in giù nel riconoscimento:
     – Mica son ladri da niente…! Sanno come fare per spaventarti a morte.
     – Lui ha avuto paura che lo torturassero come quelli del quarto piano.
     – No, Mariu’… Ha avuto paura che lo ammazzassero come quelli del secondo piano. E non ha capito più niente. Tanto era spaventato che non ha riflettuto che ormai stavano andando via. Ha preso la pistola e ha sparato. Ma non si deve far così. Tu sei la vittima… Tu puoi sparare solo dopo esserti accertato che stai proprio per essere ammazzato e solo nel momento quando stai proprio per essere ammazzato. Se no non vale. Che ci sei stato messo di proposito, in condizione di non poter ragionare, non conta. Lui ha fatto la brutta figura di avere sparato per le cose che gli stavano portando via.
     – Eh…! –  sospira Mariuccia  – Un conto è uccidere per prendersi le cose di un altro, e un conto è uccidere per non far prendere le proprie cose. E’ diverso.
     Peppino lentamente scuote la testa:
     – Mica sei un delinquente che se uccide si capisce che non è colpa sua ma… del coso… come si chiama? Ah! Il sistema.
     – A proposito… Dopodomani è un anno che hanno ammazzato quelli del primo piano. C’è la Messa. Non ricordo… Quanto si fecero i loro ladri?
     Peppino con le dita pulisce il tavolo di un po’ di cenere caduta dalla sigaretta, mandandola a cadere sul pavimento:
     – Rischiavano di farsi cinque mesi in carcere e un anno a casa… Ma spiegarono di avere ammazzato solo perché spaventati dalla signora che svegliandosi aveva urlato, e così si sono fatti un mese e mezzo. A casa. Ne hanno profittato per dare un’imbiancata.
     – Un mese e mezzo… Mmh… Mezzo mese a morto.
     – No. Un mese per il marito e mezzo per la moglie.
     – E per il papà di lui niente? –  stupisce Mariuccia.
     – Aveva un tumore… ricordi? Sarebbe morto comunque.
     – Ah… ecco.
     Peppino spegne il mozzicone nel posacenere e si alza:
     – Eppure devo farcela a mettermi paura! Devo imparare a riuscire a ragionare anche mentre sono spaventato a morte. Se no… che gli dico al giudice? Che non ero capace di intendere e di volere in quel momento? Io sono la vittima… per me non vale questo.
     – Le ho provate tutte. Non so come fare per spaventarti. Tu mi riconosci sempre.
     – Ma che ci posso fare…! –  allarga le braccia Peppino  – Forse non va bene il tegamino.
     Tornati in camera, Mariuccia si toglie i panni di scena mentre l’uomo rimette i colpi nella pistola.
     Si coricano. Gli occhi aperti nel buio. Il silenzio è interrotto da un tonfo.
     – Cos’è stato? –  si risolleva Peppino.
     – E’ sopra. Hanno cominciato a fare esercitazione pure loro.
     – Cosa usano?
     – Il vocabolario. Tanto il figlio è morto e non gli serve più –  alza le spalle la donna.
     – Non sono stati dei ladri però… Mi pare che fu messo sotto da un poveraccio ubriaco… o drogato… eh?
     – Macché! Lo ammazzarono i compagni, a scuola. Ragazzate.

FINE
                                                                              
gennaio 2008, A.R.D.

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vittime della propria legittima difesaultima modifica: 2010-04-05T19:38:00+02:00da pioggiamarea
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