racconto medievale

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storie medievali e contemporanee

racconto ambientato nel basso Medioevo da leggere/scaricare/stampare free

La sposa di messer Cosimo
di A.R.D.
(copyright 2007 – tutti i diritti riservati – pubblicato in rete da gennaio 2008)

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L’immagine: olio di A.R.D. – particolare – riproduzione non consentita

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“La descrizione genera realtà”, concetto della Psicologia,
è il filo conduttore dell’intera storia.

                                                    
racconti di pioggiamarea.myblog.it olio di A.R.D. particolare.jpg
      Eppure l’ho vista sparire qui… –  diceva l’uomo scostando le fronde di un cespuglio, nel bosco.
     Il suo sguardo cadde vicino un grosso e marcio tronco a terra dove si scorgeva, tra le foglie secche, un lembo di panno:
     – Venite! L’ho presa!
     Mentre i compagni accorrevano, si chinò e dal cavo tronco trascinò fuori la ragazza che là aveva trovato nascondiglio, e che ora gridava e si dibatteva non riuscendo a liberarsi dalle tante mani che la tenevano.
     – Lasciatemi! Lasciatemi!!!
     – Quanto è magra…! Da quanto tempo non mangi? 
     – Vili… Lasciatemi… Il mio sposo vi farà uccidere tutti!!
     – Eh… che paura! –  risero quelli  – E chi è mai il tuo sposo?
     – E’ un uomo ricco e potente! Lui mi aspetta e quando…
     Richiamati dalle grida, giungevano al galoppo alcuni giovani messeri, con indosso gli archi da caccia e accompagnati da qualche servo: 
     – Che sta accadendo qui?
     – Niente… Abbiamo trovato questa pulciosa… Si è spaventata sol perché ci ha visti… 
     Uno dei giovani tolse un piede dalla staffa a colpire l’incauto con un calcio sulla faccia:
     – Nefandi…! Che non vi ci colga ancora o vi farò impiccare. Chi è costei?
     – Una bugiarda… –  borbottarono quegli uomini arretrando a dileguarsi tra gli alberi  – Dice che è la moglie di un signore… uno ricco…
     I messeri risero:
     – E ben avaro! Non ti fa mangiare, di’? 
     – E non ti veste? 
     – E ti manda per boschi?

     Il cuore ancora impaurito e il respiro ansante, la giovinetta, cenciosa e sporca, si passò il dorso della mano sul viso ad asciugare le guance e il naso, e tenendosi diritta legnosa rispose piccata:
     – Viaggiavo coi miei servi! Per raggiungerlo. Fummo assaliti dai briganti e i miei servi furono uccisi. Io… riuscii a fuggire. Cammino a piedi da lungo tempo. Sto… recandomi… da lui.
     I giovani, sempre in sella, si guardarono tra loro, dubbiosi.
     – Diteci dunque… madonna… chi è il vostro sposo?
     – Messeri, vi sono grata dell’aiuto ma… io… non intendo rivelare il suo nome.
     – Ha davvero mentito –  concluse uno.
     – No… Non ha mentito –  intervenne un altro che fino a quel momento aveva osservato e ascoltato rimanendo in silenzio  – Sono io. Lei è… E’ lei la mia sposa.
     Ogni bocca si aprì nello stupore, solo restando serrata quella di colui che così aveva parlato e che ora, gli occhi sulle proprie mani, ne calzava meglio i guanti, consapevole degli sguardi fissi su di sé. Ma ormai l’aveva detta. Si schiarì la voce, guardò la ragazza:
     – Perdonatemi, signora, di non avervi… subito…  riconosciuta.
     Parve riflettere, quindi balzò dal destriero e si accostò a prenderle le mani:
     – Mia amata! Siete la benvenuta. Ma quale imprudenza mettervi in viaggio senza attendere che venissi io a scortarvi…
     Restò a fissare le profonde screpolature e i graffi di quelle mani. Le lasciò. Si rivolse agli amici:
     – In simili condizioni… non l’avevo subito… Insomma ero nel dubbio se non fosse stato più opportuno darle modo di rimettersi in bell’ordine prima di presentarla. Ecco.
     Sospinse la ragazza verso il destriero.
     – Ma… messere… –  mormorava perplessa lei.
     – Tacete.
     La sollevò spingendola a salire cavalcioni in sella.  
     – Il mio fagotto! –  annaspò lei  – E’ rimasto nel tronco… –  e fece per gettarsi giù.
     – Che vi resti! –  soffiò tra i denti lui riassestandola su  – Avrete nuovi panni. Ma tacete.
     Le tirò la lacera e sporca veste a cercar di coprire la scarpa incrostata di fango e a pezzi.
     Il ragazzetto suo servitore gli cedette il cavallo in proprio uso. Il giovane vi montò:
     – Continuate pure la caccia senza di me, amici. Voi certo capite che ora devo condurre a casa la mia sposa.
     Allungò il braccio a far issare dietro di sé il piccolo servo e, impettito, avviò il cavallo al passo, tirando per le redini quello con la giovinetta.
     Uscendo dal bosco a immettersi sulla strada di terra battuta, disse:
     – Zinnio, voltati a guardare senza parere… Che fanno?
     – Son rimasti fermi dove e come li abbiamo lasciati.
     – Fra breve si riavranno e rinunceranno alla caccia per correre in città a dar la notizia.
     – Messer Cosimo… –  mormorò Zinnio  – Che avete in mente?
     – Che vuoi che abbia in mente? –  rispose piano il giovane girandosi un poco a lui  – Lo sai che mi necessita una sposa.
     E si volse alla ragazza:
     – Ce la fate a reggervi? Volete che andiamo con maggior lentezza?
     – No… Mi reggo.
     – Ditemi chi siete. Ma, per carità, non ripetete la storia del ricco marito e dei briganti.
     – Messere, avevo mentito solo per l’intento di salvarmi. Poi… ho mentito di nuovo per non dover ammettere di averlo fatto. Per non esser derisa. La dama di cui ero serva morì e i suoi beni furono divisi fra i creditori. Io fui mandata via. Da mesi cammino senza aver trovato sistemazione, ma più peggiora il mio stato più non vengo che scacciata.  
     – Ho notato, fin da subito, che vi esprimete con maniera.
     – Ho imparato servendo colei che mi era padrona. Messere, se voi poteste aiutarmi a trovare una casa in cui ci sia bisogno di… Vi assicuro che posso ancora lavorare e…
     – Per ora verrete nella mia casa… Vi resterete per un po’. Ecco… Le cose stanno così… Quattro mesi fa partii per acquistare alcune mercanzie per la nostra bottega. Al ritorno raccontai a mio padre e a tutti di essermi sposato. Dissi di non aver potuto condurre con me la sposa perché trattenuta da una zia ammalatasi e che sarei andato a prenderla in appresso. Ora vi presenterò come quella sposa: appena guarita la vostra zia, voi, anziché attendermi, siete subito partita alla mia volta, spinta da… impazienza d’amore.
     Si avvicinava il rumore di zoccoli al galoppo e presto furono raggiunti dagli amici che, salutato Cosimo scrutando la sposa, rapidi si allontanarono.
     – Signore… in verità non ho compreso.
     – Vedete… madonna… mi resi conto d’un tratto che, a furia di parlarsene per la città, tutto aveva preso la piega per condurmi dritto dritto alle nozze con la figlia di tal Gubbione e, prima che fosse troppo tardi per tirarmene fuori senza creare offesa, posi fine a tutto dicendo d’essermi sposato. Anch’io mentii per salvarmi, e anche a me necessita non smentirmi. E ora prendiamo accordo: voi vi chiamerete…  Zinnio, quale nome dissi?
     – Non lo ricordo.
     – Come fai a non ricordarlo? E adesso? Vediamo… qual è il vostro nome?
     – Caterina.
     – Mmh… non era questo. E sia. Prendiamo l’accordo che vi chiamate Caterina. Se qualcuno dovesse rammentare l’altro nome, dirò che è il secondo, e per il resto… per il resto… Per il resto proprio non ricordo cosa sono andato raccontando. Miglior partito è quindi tacere.
     – Sì, però, come potrei… Ecco, se qualcuno mi domandasse…
     – Non risponderete. Tacerete. Avete visto uccidere i vostri servi dai briganti, vi siete salvata a stento, avete vagato da sola nei pericoli: ce n’è abbastanza da essere ancora così impaurita da restar nel silenzio.
     – Ma… 
     – State dunque zitta!
     E le consegnò le briglie. Ebbe una smorfia riguardandone le mani malconce, le ritolse le briglie che fermò alla sella, e aumentò un po’ l’andatura a lasciarsi la giovinetta alle spalle.
     – Che te ne pare? –  chiese a Zinnio.
     – Un guaio, signore.
     – L’hai pur detto tu stesso che si nutrono dubbi su questa moglie che non mi decido mai ad andare a prendere. Sarei già partito e tornato con la triste notizia della sua morte se la figlia di Gubbione si fosse intanto sposata. Ma quella spera sempre di mettermi le mani addosso, mio padre continua a pensare ai denari di Gubbione, Gubbione continua a pensare ai denari di mio padre, tutti stanno ricominciando a parlare di questo matrimonio e io sono ancora nel pericolo.
     Procedevano piano. Cosimo col suo servitorino, avanti; indietro di poco, Caterina.
     – Zinnio… tu taci, eppure io sento che brontoli. 
     – Ne avete combinata un’altra delle vostre, messer Cosimo.
     – Non giudichi invece che tutto possa andare a posto?
     – Ma voi raccontaste di aver sposato una fanciulla bellissima!
     – Dissi questo a mio padre… alla gente di casa… a qualche amico…
     – Non c’è un solo sasso a cui non siate riuscito a far spuntar le orecchie pur di rifilargli le lodi delle bellezze della vostra sposa. E costei…
     – Non ti pare gran cosa?
     – In verità… In verità no, signore.
     Il giovane si volse a guardarla:
     – E’ solo ossa… E’ stremata dalla fame… Comunque, non si può dir che sia brutta.
     – Proprio brutta… no… Ma non è bellissima. E non è nemmeno bella. E non lo sarà neanche quando l’avrete rimpolpata. Non c’è in lei niente della fanciulla che la città attende.
     – Me dannato…! Me e quando comincio a contar frottole. Ma mio padre si infuriò talmente…! Mi mandò a comprar le mercanzie e gli tornai sposato… quasi me ne infuriai io stesso. E non mi venne altro da dire che di aver perso la testa per divina bellezza. Bisognava pur che giustificassi la passione che mi spinse ad affrettate nozze!  E poi… sai dirmi tu quale uomo, dovendo inventarsi una sposa, l’immaginerebbe men che bellissima?
     – Sì, questo lo capisco; ma non capisco come vi sia venuto in mente di far ricorso a costei.
     – La sua menzogna aveva coincidenza con la mia e dunque ho colto l’occasione.
     – Io ho il dubbio che vi sia piaciuta.
     – Quell’animale sul mio cavallo?! Uhm… è senza meno fanciulla a modo e di forte indole, non l’avrei altrimenti scelta, ma non è certo tale da indurmi in precipitoso e irragionato amore. Non la vedi forse?
     – La vedo, la vedo… –  disse Zinnio volto indietro.
     Anche Cosimo si volse di nuovo:
     – Non fare esagerazione. Adesso è sporca, scarmigliata… vestita di stracci… Non è poi proprio male…
     – No… anzi… direi quasi… insomma…
     – Al diavolo! O costei o la gubbiona.
     – Datemi retta… Molliamola e vediamo se ne troviamo un’altra.
     – Zinnio, a volte davvero mi lasci nello stupore più di quanto non faccia io stesso. Quante donzelle vedi da qui a casa in attesa d’esser mia moglie sol per finta? Infine questa l’ho presa giusto per fame, paura e sfinimento… e se non ci metto polso rischio pure che se ne vada. Inoltre, che la sposa sia lei, l’ho ormai detto dinanzi a testimoni.
     – Vi burleranno per aver mentito sulla sua bellezza e vi resterà la nomea di mentitore. E io non sarò più servo rispettato.
     Il giovane stette per un po’ muto a pensare e quindi dichiarò:
     – Ebbene, sai cosa farò? Manterrò il punto: essa è bellissima. Nessuno mai riuscirà a farmi dire che non lo sia. E ognuno si spiegherà la cosa come cecità d’amore.
     – Meglio passare per innamorato che per mentitore –  approvò Zinnio.
     – E nessuno è più mentitore di un innamorato –  concluse Cosimo.
     Erano quasi giunti alla città. Il giovane fermò il cavallo per lasciarsi raggiungere da Caterina e riprese il cammino restandole affiancato.
     – Signore… io vi ringrazio ma… vedete, io voglio…
     – Vi ho detto di tacere. Mi stupisce che non obbediate a vostro marito.
     – Messere!
     – Sentite… Io già sono nel pentimento e sto pensando che farei meglio a concedere ad altra fanciulla la preferenza. Perciò, se non state zitta, vi riporto là dove vi ho trovata e vi ci lascio. Quei miserabili sapranno apprezzare il vostro ritorno.
     Caterina chiuse subito la bocca e se ne stette accigliata e diritta, a manifestare così la propria indignazione. Cosimo sbuffò:
     – Non siete che una stracciona. Ancora un giorno e vi ammalerete per la fame. E presto ne morirete. Vi offro l’agio di abitare per un po’ al sicuro in casa mia e di esser servita. Sarete nutrita. Potrete rimettervi nelle forze. Vi darò pure dei denari. E nuovi panni. Mi par che vi convenga!
     Ormai alla porta della città, guardavano la strada affollata per il mercato settimanale.
     – Nessuno avrà dato credito a quel che di lei i vostri amici avran detto –  bisbigliò Zinnio  – Di certo tutti si aspettano di veder finalmente la vostra bellissima sposa.
     Cosimo strinse le labbra:
     – E la vedranno!
     Si protese a prendere la mano di Caterina portandola verso l’alto e, mirando il volto della sua sposa con occhi traboccanti estasi, fece trionfale ingresso, avanzando poi fra la gente che ammutoliva via via.

     Giunti alla casa, vi entrarono fra i servi usciti a fare accoglienza. E là fuori rimasti impietriti.
     – Che fate là? Rientrate –  li richiamò il giovane e schiuse l’uscio che dava nella bottega ad affacciarvisi, subito richiudendo  – Dov’è mio padre? Guarda me! Ti ho chiesto dov’è mio padre.
     – E’… all’uliveto. Ho già mandato a chiamarlo… con la notizia… signore.
     – Voi tre! –  si volse Cosimo alle serve radunandosele accanto  – Aprite bene le orecchiuzzole. La mia sposa è stata derubata di tutto, ha fatto lungo cammino da sola ed è ancora nella paura. Curatela. Lavatela. Mentre l’acqua si scalda, fatele mangiar qualcosa, ma poco o starà male… Un poco alla volta. Non fatele domande. Non deve parlare. Nel senso che… non può… è turbata. Vestitela. E badate: che siano vesti degne della sua bellezza.
     – Sì… sì… certo… subito. Venite con noi… madonna…
     – In che stato…! Poverina… Io corro a metter l’acqua a… Quali vesti…?
     – Quali vesti, signore? A parte noi, non ci son donne in questa casa.
     Cosimo allargò le braccia:
     – Abbiamo una bottega colma delle sete più belle, dei broccati più…
     – Avete bel tempo! Sete e broccati devono esser prima tagliati e cuciti… se li volete in forma di vesti.
     – Già… Allora… mettetele qualcosa di vostro. Mia signora, son certo che perdonerete e domani si provvederà. Poi tu va a cercare nella bottega… veli… nastri… quel che si può metter sopra per aggiustar meglio. Copritela… sì… voglio dire… adornatela. Per le scarpine… forse un paio delle tue?  Andate dunque. E trattatela con attenzione… è sfinita… ed è ferita da numerose graffiature. Perciò usate gentilezza o vi faccio provar la frusta.
     – Messer Cosimo! E non avete niente di meglio da farci provare?
     – La spennatura! Svelte donne! Ho da presentarla a mio padre e poi ci saranno visite. E non vi mettete a farle allusioni indecenti… Andate, andate… Zinnio!! Tu no.
     Lo prese per la collottola a metterlo fuor dell’uscio e vide arrivare suo padre:
     – Cosimo! Son subito tornato appena avvisato. Vediamo dunque la bellissima sposa, colei che ti ha tolto la ragione al punto da farti arrecare offesa a tuo padre. Be’… dov’è?
     – Padre, l’ho affidata alle cure delle donne… Ha bisogno di riaversi…
     – Sì, sì… ho saputo. Poverina… lasciala riposare. Io posso aspettare. Che imprudenza partire così… La colpa è tua che hai troppo atteso. Te lo dicevo di andare. Il tuo indugiare mi aveva finanche indotto nel sospetto che avessi mentito. Dunque è giunta…  Son contento. Ma bada che sono ancora risentito: il matrimonio del mio unico figlio celebrato senza ch’io fossi presente! Seppure invecchiato, però, son uomo anch’io… e so bene come la bellezza possa farci perdere il lume. Eh…! La tua povera madre, pace alla sua anima, mi fece perder la testa pur se non era bella come tu dici della tua sposa. E dimmi… ha portato quanto doveva?
     – Quanto doveva…?!
     – La dote… I denari della dote!
     – Purtroppo ne è rimasta priva. I briganti che hanno…
     – Che?! Nessuna terra, dicesti. Solo una dote in denaro. E ora… nemmeno quella?!
     – Volete forse che la mandi via sol perché privata della dote?
     – No, no… c’è un sacramento… per carità…! Ma davvero, figlio mio, mi lasci sempre più deluso. Non reca dunque altro che la bellezza. Mi contenterò… Avrò bei nipoti.

     Nel camicione da notte, Cosimo spingeva fuor della camera le serve, e per una che riusciva a scacciare un’altra rientrava:
     – Andate via… Non ci occorre altro. Via… via… andate… Sciò…!
     Finalmente poté chiudere l’uscio. Dubbioso girò a controllare per la stanza, si chinò tra una cassapanca e l’angolo della parete traendone per i panni Zinnio, e così tenendolo lo trascinò fino all’uscio, riaprì e lo buttò fuori. E serrò.
     Guardò Caterina che, in piedi, persa dentro l’ampia camicia in prestito, girava gli occhi sul pavimento:      
     – Che cercate?
     – Io…dove dormo?
     – Dormirete là nel letto. Io mi sistemerò sulla sponda e voi nemmeno vi accorgerete che ci sono. E’ letto ben ampio… Venne messo al posto di quel che avevo, quando dissi di essermi sposato. Scegliete da quale parte volete stare e coricatevi, così spengo le candele.
     – Siate gentile… Datemi qualcosa di cui far giaciglio a terra.
     – A terra…?! Ma domani le serve… No no no no… Dovete dormire nel letto. Non vi posso contentare… Gli sposi dormono insieme.
     – Ma noi non lo siamo per davvero.
     – Via, signora… non siate pignola. Siete senza più forze e state a crearmi problemi invece di riposare. Vi ho detto che mi terrò discosto. Scegliete da quale parte volete mettervi e coricatevi.
     – Io con voi non mi corico.
     – Volete capire che è cosa che non si può evitare? Ora non fatemi perder la pazienza o io… Vi ripeto che non dobbiamo che dormire!
     – Io con voi non ci dormo.
     – Mi state recando offesa! Dunque mi stimate alla stregua di quei vili?
     – Io… voglio andare giù… a dormire sulla paglia che sta nella cucina. 
     – Ma non potete! Dannazione! Per me sarebbe la rovina! Voi dovete restare qui.
     – Io voglio andare a dormire nella cucina.
     Cosimo rifletté un poco. Cambiò registro:
     – Siate buona… Ve ne prego! Se non dormite qui, l’inganno verrà scoperto e tenuto in conto di burla, tutto tornerà come prima e… io finirò nelle mani della gubbiona. E per me non sarebbe meno orribile di com’è stato per voi… quando vi siete trovata nelle mani di quei miserabili.
     Vedendo gli occhi di Caterina impietosirsi, pur se spalancati nello stupore, inclinò il capo di lato e così lentamente da trascinarla nello stesso gesto, intanto aggiungendo piano:
     – Io… ho… paura…
     E restarono fermi, sospesi in quel gesto speculare.
     – Va bene… dormo qui –  si riscosse infine Caterina e si avviò alla parte del letto verso la finestra, sollevò le coltri dalla fiancata così scoprendo i bordi dei materassi sovrapposti, afferrò il pagliericcio sottostante e con gran fatica cominciò a trarlo fuori.
     Cosimo si accigliò:
     – Non sperate ch’io vi ceda il letto e mi adatti a dormir sul pavimento. Parola mia, non lo farò. Né per stanotte né… 
     – Ci dormo io, signore. Ho sempre dormito a terra.
     – Al diavolo…! Scansatevi! –  e furioso estrasse il pagliericcio lasciandolo cadere sul pavimento.
     Restò a guardarla che ci si rannicchiava ritirando sotto la camicia i piedi nudi ed escoriati.
     Stizzito aprì una cassapanca a prendere una coperta, gliela buttò con mala grazia addosso, spense rapido tutte le candele sparse per la stanza dalle fantasiose serve e si coricò.
     – Messer Cosimo… posso parlare?
     – No.
     – Mi fissano tutti. I vostri servi… vostro padre… la gente venuta in visita…
     – E’ solo per curiosità. Siete stata lungamente attesa. Non badateci. Basta che stiate zitta.
     – Sì, sto zitta.
     – Ecco, state zitta –  e le gettò uno dei cuscini  – Io ho da pensare a come potrò giustificare il vostro barbaro uso di dormire.
     Rimasero un po’ nel silenzio, quindi Caterina disse:
     – Vorrei domandarvi… Per quanto tempo si dovrà recitare la commedia?
     – Fino a che la figlia di Gubbione non sia sposata, il che sarà fra breve… Uno o due mesi. Ora che vede ch’io davvero ho già una moglie, si deciderà per qualcuno di quelli in lizza. Dopo le sue nozze, col pretesto di un commercio noi partiremo insieme per un breve viaggio, da cui io tornerò vedovo.
     – Volete… uccidermi…?
     – No davvero… Cosa dite?! Ve ne andrete per la vostra strada e io me ne tornerò per la mia. E racconterò che siete morta in viaggio. Tutti verranno a compatirmi… Mio padre mi dispenserà dal lavorare forse per un intero mese e certo mi farà dono di un bel po’ di denari per qualche svago… Io sarò inconsolabile per un po’ di tempo… –  sbadigliò  –  …e infine me ne farò ragione.    
     Tacquero alcuni minuti. Poi Caterina ancora disse:
     – Vorrei farvi un’altra domanda, signore…
    
– Io devo far la fatica di prender sonno nello scomodo in cui avete ridotto il mio letto, signora. Invece di procurarmi aggiunta di fastidio con le vostre domande, cercate di star contrita e muta nel rimorso.
     – Si, signore. Ecco… vorrei chiedervi… Perché la figlia di quel messer Gubbione vi fa paura? E’ tanto brutta?
     – No. Anzi! Ma non mi piace.
     Dopo lungo silenzio Cosimo continuò:
     – E poi… volete sapere un fatto strano… ciò che mi ha proprio spaventato? Non l’ho mai detto a nessuno… ne ho brividi… Ebbene, quando tutti non facevano che parlare di un matrimonio fra me e lei, io la sognavo ogni notte e sempre ogni volta la sognavo che piangeva per me.
     – Oh… ma codesto… era un bel sogno! Non vi deve spaventare. Forse significava che sentite che vi ama… che patisce per amor vostro… Per voi!
     Il giovane si sporse ad affacciarsi dal letto, a scrutare sul pagliericcio nel vago chiarore lunare che filtrava tra le assi delle imposte. E precisò:
     – Sognavo che piangeva per me morto. Ora ditemi se un uomo può desiderare di sposare la propria vedova.

     – Cosimo!! Figlio snaturato… Dove sei? Fa’ ch’io ti trovi…!
     – Eccomi. Son qui, padre. Che ho fatto?
     – Quale storia è questa? Le serve parlano di un pagliericcio a terra e dicono di trovare ogni mattina il letto tale da essere evidente che vi ha dormito uno solo. Tu, per essere esatti. Perché fai dormire Caterina sul pavimento? 
     Il giovane sospirò profondamente:
     – Vi assicuro che non è per mia volontà. Voi sapete che ella ha corso gravi rischi nel venir qui. Ebbene, aveva fatto il voto che, se fosse giunta salva, avrebbe dormito sul pavimento per… per un certo tempo. 
     – Mmh… Ma  le serve dicono che né il letto né il pagliericcio hanno finora avuto modo di… ospitarvi insieme. Avete dunque… sospeso… il matrimonio. Che sta avvenendo? 
     – Ahimé, padre mio: il suo voto comprende la rinuncia a me… per un certo tempo.
     – E si può sapere quanto ha da durare questo certo tempo?
     – Oh… credo… Il termine le sarà rivelato in sogno. Ecco.
     – Mai udito nulla di simile. Dunque… così… giusto per riassumere: niente casato, niente dote, niente nipoti… e quanto a bellezza poi…
     – Come dite…?
     – Dico… quella bellezza di cui tanto parlasti… mi pare che…
     – Ah…! Avete visto come ne è colma? Ella ne risplende a tal punto che a guardarla mi sento d’improvviso cieco.
     Il padre restò a fissarlo:
     – Come io nell’udirti mi sento d’improvviso muto… Son senza parole, figlio mio. Non so se considerarmi gabbato da te o… graziato dal Cielo per avermi mandato nuora colma di tali virtù da apparirti simile a dea.
     – Apparirmi simile…?!  Lei è una dea. Nessuna stella del firmamento può dir di sé di aver più luce dei suoi occhi, e nessuna rosa può vantare petali più dolci della sua pelle, e quale paragone potrei usare per dir della sua bocca così…
     – Sì, sì… Basta… Non andare oltre… Non sta bene. Mi è chiaro che l’ami di irragionevole passione. Vai, ora, togliti dalla mia vista. Ah, se quella santa donna di tua madre fosse stata un po’ più santa e avesse fatto anch’essa di codesti voti…! Son pentito di averti generato, quasi quanto Nostro Signore è certo pentito di aver creato l’uomo.

     Urtandosi a passare tutte insieme per la porta, festose le serve entrarono nella camera:
     – Signora! Il vostro sposo vi manda queste sete affinché scegliate per una nuova veste.
     – Guardate come son belle!
     – Ma… ho già avuto bastanti vesti…
     – Messer Cosimo dice che nulla è troppo per voi.
     – Ah signora, come siete fortunata…! Voi godete dell’amore che raramente a fanciulla toccò.
     – Cosa dici…? 
     – Dico ciò che ognuno dice! Messer Cosimo vi ama come mai uomo ha amato.
     – Allora? Quale colore vi piace? 
     – Non… Non so… Queste sete credo siano… troppo costose…
     – Ma è lui che ha voluto le più preziose! Per voi!
     – Scegliete… Non dategli un dispiacere… Avreste dovuto vedere la tristezza del suo volto quando esprimeva il dubbio che non si addicano alla vostra bellezza.
     – Via, finiscila… So bene che la sorte non mi ha concesso la bellezza.
     – Messer Cosimo dice che siete bellissima.
     – Così… dice?!
     – E ve ne stupite? Non lo dice anche a voi stessa? Di certo ve lo dice… ed è certo la vostra modestia che non vi concede di udir le sue parole.
     – Forse è per il voto? E’ così, signora? Per poter resistere a tener fede al vostro voto… nemmeno lo ascoltate. E’ così?
     – Quando sognerete di poter mettere fine al voto? Aver per marito un giovane così preso d’amore e rinunciarvi! Ah…! Voi state lasciando in ispreco la grazia di Dio. 
     – E che frasi ardenti egli usa per voi!
     – L’aveste sentito quando parlava di questi colori…! Aspettate… Come ha detto? Sì, ecco… Ha detto che qualunque colore sarebbe stato spento dal vostro fulgore.
     – Hai mal udito… Non può aver detto questo… Io non ho fulgori.
     – Ma lui vi guarda con occhi innamorati! Voglio dire… non che io pensi che voi non siate… Voi siete certo graziosa… sì… insomma… anche se non come lui dice… Oh, e perché ora intristite? Anzi…! In ciò voi avete prova di forte amore. Significa che lui vi vede col cuore dentro gli occhi! Tutta la città ne è commossa. Non si parla che di questo.
     Caterina si volse a guardar dalla finestra giù nel cortile, dove Cosimo e Zinnio sistemavano su un mulo le merci da portare a un cliente.
     – Zinnio… mi è parso che ella mi abbia sorriso. Non posso crederlo…! Di certo ho mal visto per via del sole. E’ sempre così dura e ispida… Strano animale quella fanciulla.
     – Continua a tenersi fuori del letto, signore?
     – Come osi? Sei sfacciato, Zinnio.
     – E’ cosa di cui stanno ragionando tutti.
     – E che se ne dice?
     – Che siete stato marito poco accorto: sposando una fanciulla tanto pia, avreste dovuto provvedere a darle una lista dei voti che può fare e di quelli che non deve fare. E madonna Bice vi manda a dire che lei non ha fatto voti.
     – Per ora non ci posso tornare… –  sospirò Cosimo assicurando il carico con una corda  – Non voglio lasciar la mia sposa senza compagnia mentre ella è nel sacrificio del suo voto.
     – Messer Cosimo… state parlando con me… e io so come stanno i fatti.
     – Mi son confuso, Zinnio… Mi son confuso… Su, monta e va a far la consegna.
     – Comunque… per madonna Bice… se mi date un po’ di broccato di cui farle dono, vado io al posto vostro, tanto per mantener la relazione per quando sarete vedovo e vorrete tornarvi.
     – Moccioso presuntuoso! Se hai tanta voglia di servirmi, muoviti a far la consegna. Va!

     Nel quieto lume di una candela, Cosimo se ne stava affacciato dal letto a chiacchierare con Caterina quando sentì bussare. Si alzò ad aprire e, tenendolo indietro a impedirgli di ficcar dentro la testa, ascoltò quanto Zinnio aveva da dirgli. Richiuse l’uscio e corse a buttarsi di traverso sul letto tornando a sporgersi sul pagliericcio:
     – Buone nuove! La gubbiona si sposa. Sono salvo. E voi fra breve sarete libera.
     – Ne son contenta.
     – Ne siete contenta?! State…  così male in questa casa?
     – No… E’ nell’inganno che comincio a star male. E poi… vostro padre è gentile con me… e io non riesco più a sopportare questo.
     – Non vi capisco… La gentilezza è cosa da sopportare?
     – Ah… come non capite ch’egli sta nutrendo affetto per me? Avrà a dispiacersi.
     – Ma perché le faccende si complicano sempre? –  sbuffò Cosimo  – Bisogna affrettare. Voi siete ormai in salute, e appena celebrate le nozze della gubbiona partiremo subito. Nel frattempo pensate dove volete che vi accompagni… Bisognerà solo evitare i luoghi in cui io sono mercante conosciuto. Vi darò i denari promessi e potrete tenere anche le vesti e i monili. Io invece intanto penserò a quale potrebbe essere la vostra morte. Intendo quella di cui dovrò raccontare.
     Trascorso breve silenzio, Caterina disse piano:
     – Mi darete solo i denari. Per far la serva non s’usano sete e monili. E poi, una volta resovi il cavallo, mi sarebbe d’impaccio il peso di…
     – Ho capito… –  la interruppe brusco Cosimo  – Non vi hanno fatto piacere. Allora vi provvederò di pochi panni modesti.
     Accoppò la candela e si strattonò le coltri addosso:
     – Se dovesse toccarvi di tornare a dormire sotto i cespugli, oppure in un ovile o in qualche pagliaio, sarete ancor più contenta: è a quelli che siete abituata. Ecco perché preferite starvene a terra come un animale… invece che qui. E io sarò contento di riavere il pagliericcio di cui mi avete privato.
     Trascorsero parecchi minuti di silenzio.
     – Messer Cosimo, se non dormite ancora… da lungo tempo vorrei farvi una domanda.
     – Stavo infatti dormendo. Avendomi ormai destato… domandate pure.
     – Io… ecco… vorrei sapere… E’ vero che di me dite che sono… assai bella?
     – Sì. Certo. E’ vero.
     – Perché lo dite?
     – Perché lo dico… Perché… Perché lo siete.
     – Lo sarei, ai vostri occhi, se voi… se mi amaste…
     – Amarvi? Io? No di certo.
     Quindi Cosimo si scostò le coltri e tornò ad affacciarsi:
     – Signora! Siete forse presa da qualche strano desiderio?
     – No… No di certo…
     – Mmh… Non vi garba di esser sincera. Allora diciamo così: state forse pensando che vi piacerebbe di sposarmi per davvero?
     – Voi vi state disponendo ad inventare la mia morte, signore. E io…. come potrei desiderare di sposare il mio vedovo…?!

 
    –
Chiudo perché ho da parlarti, figlio mio. Tanto è quasi l’ora e non verrà più nessuno. Ecco fatto. Prima che rientriamo in casa… voglio parlarti. Anzi, ho da farti rimprovero. Sediamoci. Mettiti qui… ti voglio guardare in faccia. Siedi dunque! Così. Vedi… io sono meno stolto di quanto a te tornerebbe comodo che fossi. Mi è occorso un po’ di tempo ma ora credo di aver capito tutto. Tu mi hai dato un grande dispiacere. Quando tu e Caterina partiste in viaggio, benché nel sospetto, non avevo ancora compreso quale necessità ci fosse di portarla con te.
     – Quale necessità mai poteva esserci? Volle venir con me per svago e…
     – No… che svago… E fu la tua insistenza a farvi accompagnare solo da Zinnio che aumentò in me il sospetto.
     – Ma che sospetto infine…?
     – Lascia stare. Ormai non ho più sospetto. Ho riflettuto e credo d’aver capito tutto. Quella faccenda del pagliericcio sul pavimento proprio non mi…
     – Ma vi spiegai che era per via del voto che…
     – Ssst… Non mentire ancora. Se ti sto dicendo che ho capito…! Che voto e voto… Tu non ti eri sposato affatto! Ho ragione?
     – Ebbene… Sì…
     – Finalmente un po’ di verità. E tutto per spicciarti della gubb… della figlia di Gubbione. Ma ancor più per il gusto di contar storie. E nemmeno nella menzogna avesti ritegno! Riuscisti a far parere una scopa ogni sposa di questa città per quante ne dicevi delle bellezze della tua! Poi raccogliesti una disgraziata e ci gabbasti tutti. E sei riuscito a far parere facile e fatuo ogni altro amore in confronto al tuo. Ssst… Taci! Non dir nulla. Non hai da spiegare visto che ho capito da solo. E ho capito pure ciò che davvero è accaduto in quel viaggio presto interrotto in anticipato ritorno. Tu mi hai dato un grande dispiacere…
     – Io…
     – Tu sei uno sciagurato! Mi hai addolorato! Mi hai… Non dovevi farmi questo… Non dovevi… Altro che commercio…! Altro che svago…! Voi partiste per andare a sposarvi in luogo lontano! In qualche chiesetta sperduta o in un monastero… non potendo più ormai farlo qui. Ecco perché partiste!
     Si alzò a camminare arrabbiato per la bottega:
     – Per la seconda volta mi hai escluso dalle tue nozze!!! 
     Sollevò dal banco il libro dei conti e ve lo sbatté:
     – Per la seconda volta!! La prima… niente di vero… d’accordo… Ma pure un niente, dopo raccontato, è ormai qualcosa…! E io non c’ero! Sei stato capace di figurarti le nozze senza di me! Come hai potuto? E come hai potuto poi escludermi dalle nozze vere? Avevi pur visto quanto mi offendesse non esservi presente! Mi hai dato un dispiacere troppo grande… Capisco che eravate ormai nella necessità di celebrarle di nascosto, ma avreste potuto confidarvi! Mi sarei adirato, ma che infine avrei compreso lo sapevi. Sarei partito con voi e avrei mantenuto il segreto.
     – Avremmo fatto così senza meno, però… quando partimmo non sapevamo che ci saremmo sposati. Ma proprio non ero riuscito ad inventarmi che Caterina… Non tolleravo d’immaginare che… No. E non volevo che dovesse di nuovo trovarsi a vagar da sola… e forse patire ancora la fame. E poi… già mi mancava. 
     – Aspetta… vedo che ho dell’altro da capire. Che significa tutto ciò? Cosa non eri riuscito a inventarti? E che significa che non lo sapevate? Allora… tu hai atteso le nozze della… e… Cosimo!! Eri dunque partito col proposito di lasciar Caterina da qualche parte?! –  e senza attendere conferma gli lanciò il libro dei conti addosso.
     – Io… spero che mi perdoniate, padre mio –  mormorò il giovane raccogliendo il libro schivato.
     – Tu speri? Tu ne sei certo! Non faccio che perdonarti. Ho cominciato da che, appena nato, la tua prima azione fu di bagnarmi l’abito. E da allora non ho più smesso. Basta. Acqua passata. Ciò che conta è che il pagliericcio non stia più sul pavimento.
     Tornò a sederglisi di fronte:
     – Ma ora io voglio una soddisfazione da te. La voglio! La pretendo! Anzi… guarda… nemmeno la pretendo. Te la chiedo per grazia, figlio mio… e con preghiera.
     Gli poggiò le mani sulle ginocchia:
     – Lo sai che mi è cara e che una figlia non l’amerei di più. E’ di animo gentile… e ti è così devota da farti parer meritevole di devozione. Poi lavora bene… sa fare nella vendita… No, non la cambierei con nessuna e mi aggrada così com’è. Lei non è in questione. La questione è fra me e te. Non mi garba che tu continui a menarmi per il naso! Io capisco che con gli altri… ma con me non è più il caso oramai. Dà questa piccola soddisfazione a tuo padre…! Resterà fra noi. Giuro. Una soddisfazione piccola piccola. Ammettilo, via…! Voglio sentirti dire per una volta… una sola volta… a bassa voce… Voglio sentirti dire che ella è soltanto passabile.
     – Di chi parlate?
     – Di tua moglie! Benedetto figlio… Dillo! Com’è?
     – Oh… è bellissima.

                                                                         FINE

novembre 2007, A.R.D.

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